L’architettura è segno della civilizzazione di una società, del modo di costruire i luoghi e del progetto per abitarli, realizza quell’esigenza di un armonioso appartenere al mondo che dal pensiero moderno caratterizza ancora oggi, nonostante l’indifferenza crescente e generale, l’indagine sulla natura del proprio essere.
Il disegno di un padiglione ospedaliero coinvolge intensamente nella riflessione sull’esistenza e sulla realtà che ci troviamo a vivere e genera un percorso sulla natura sociale del tema studiato e sulle leggi di relazione dei vari insiemi coinvolti.
Quest’analisi, che fa tornare alle cose stesse, consente alla fine anche di verificare il processo progettuale nei suoi assunti e di fondarlo sul filo conduttore della razionalità.
La forma architettonica diviene così il fondo che torna in superficie, il prodotto del processo circolare dell’interpretazione e delle condizioni di possibilità dell’esperienza: una scelta determinata sempre da una pertinente necessità.
L’orizzonte del progetto si costruisce così sulla traccia del metodo e come tensione/apertura costante verso la possibilità delle cose.
Il lavoro è stato animato dallo spirito di ricercare un nuovo modello per la realizzazione di un padiglione ospedaliero ed in particolare di sperimentare una nuova tipologia per la terapia emodialitica.
La salute è uno stato ottimale che nell’uomo comprende anche funzioni logiche, affettive e di relazione, ed implica sistemi interpersonali e strutture sociali.
Se consideriamo l’uomo come un’unica entità, non scissa fra corpo e mente, non è più possibile separare gli aspetti strettamente terapeutici dalla risposta emotiva e psicologica del paziente alla cura, né, del resto, aspettarsi un alto livello di prestazioni da chi non sente valorizzato il suo ruolo professionale ed umano.
L’ospedale è una struttura complessa anche sotto il profilo affettivo e relazionale: un luogo ad alta sensibilità percettiva all’interno del quale si acuiscono l’attenzione e gli effetti della situazione ambientale sia nel malato, sia nell’operatore sanitario.
Il malato deve essere al centro del progetto, con le sue esigenze ed i suoi bisogni di informazione, di privacy e di relazioni sociali, ma anche e soprattutto di un ambiente emotivamente positivo.
Lo spazio, infatti, può generare sensazioni di benessere o disagio, può essere stimolante, formativo o deprimente, può trasmettere messaggi di autostima, sicurezza, identità; in ogni caso partecipa sempre e fortemente al processo terapeutico.
Il progetto deve tendere a ridurre quella situazione tipica di spersonalizzazione che investe il malato nell’esperienza ospedaliera, indirizzandosi a criteri di unitarietà di immagine, di orientamento, di comprensione delle funzioni dei luoghi, di relazione e non di separazione con l’esterno, capaci di stabilire un rapporto rinnovato e intensificato con gli aspetti dell’esistenza a causa dell’eccezionalità della sua condizione.
Il progetto del Nuovo Padiglione di Emodialisi nasce dalla constatazione che lo spazio su cui si colloca ed il suo intorno, l’area ospedaliera, sono luoghi privi di coerenza architettonica, mancanti cioè di una logica unitaria e di raccordo tra le parti, sia a livello di disegno urbano sia a livello di singoli edifici.
La scelta diviene allora la necessità di innescare meccanismi critici che rifiutino la logica di assimilazione al contesto e si indirizzino, tramite un’architettura della modificazione, ad un confronto che tenda a trasformare le relazioni del luogo.
Architettura come agopuntura urbana che proponga un modello non solo sul fronte della cultura, disciplinare e non, ma anche nell’immaginazione collettiva, che sia espressione, accanto all’impegno sociale, della necessità di nuovi nessi esistenziali dell’esperienza urbana.
Il progetto si colloca nella previsione di un articolato sistema di verde urbano – in parte da realizzare – con varie funzionalità: il percorso pedonale che attraversa, lungo l’asse nord/sud, l’area ospedaliera dal Viale Matteotti, da cui si accede al parcheggio, a Via delle Pappe; l’area “cuscinetto” di verde pubblico tra l’Ospedale e la Via degli Armeni -area molto fragile e di valore tutt’altro che secondario col duplice ruolo di rendere l’ospedale un elemento meno distante dalla città e di mantenerne allo stesso tempo l’esigenza di privacy e quindi di separazione, creando anche un gradevole l’accesso per gli utenti delle strutture sanitarie; infine i giardini interni ed esterni ai nostri padiglioni costruiti con precise finalità e definiti terapeutici.
Il progetto del nuovo Padiglione di Emodialisi ha posto come tema centrale della ricerca architettonica la relazione tra spazio fisico e spazio mentale che l’ospedale genera sull’individuo.
Questa relazione si attua nel progetto scegliendo la natura come strumento terapeutico, capace cioè di creare un luogo che promuova un processo complessivo di benessere (sollievo dai sintomi fisici, riduzione dello stress, miglioramento generale di sé e delle proprie aspettative).
Il giardino, dunque, come luogo mentale, spazio interiore attorno al quale ruoti l’ospedale.
Uno spazio positivo, in grado di concentrare energie e risorse interiori per rispondere alla malattia, di ritrovare un atteggiamento privo di scissioni che riaffermi l’unitarietà dell’ individuo, che contenga un significato simbolico: lo spazio del sé, un luogo di riferimento e di coagulazione dei propri pensieri, di risposta alla propria condizione.
Un giardino del sogno, giardino della nostra speranza, luogo di incontro dei pensieri in grado di comunicare un desiderio libero il più possibile da ogni ansietà.
Il luogo della crescita e della coltivazione di fenomeni vitali ed interiori.
Gli edifici sono circondati dal verde che costituisce un riferimento visivo costante e sempre diverso. La natura è l’elemento che crea la scansione del tempo e la sequenza di fruizione degli spazi architettonici.
Così all’interno troviamo: lo spazio del sé per la dialisi e l’affaccio verso i giardini terapeutici sul fronte ovest; i due horti conclusi che accompagnano significativamente il percorso nell’edificio tubolare, paradossi di una natura racchiusa che contiene l’infinito.
Questi riferimenti visivi, archetipi di paesaggi mentali, realizzano un contrappeso al tempo e allo spazio dell’ospedale, creano nuovi orizzonti interni di scoperta e di suggestione.
All’interno la natura è presente anche come puro artificio nell’ingresso ad est del vano scala dove insieme al piccolo agrume -fruttifero d’inverno, stagione dei freddi- ad accogliere i passanti, le pareti in cemento armato, frutto della necessità normativa, contengono il segno di un bosco di bambù, in rame verde, linee oblique che proseguono al di sopra e al di sotto di noi.
Così all’esterno i tre accessi progettati, diretti e indipendenti, sono accompagnati dall’esperienza della natura: il verde pubblico a ovest, il verde dei parcheggi ad est, la sentinella-gingko sul lato nord.
Il progetto intende produrre una forte individualità in un luogo che sorge all’interno dell’area ospedaliera, differenziandolo in quanto luogo non medicalizzato, di serena frequentazione, di confidenza e facile accessibilità.
E’ stato pensato diviso in due corpi di fabbrica:
-il vero e proprio padiglione dialisi, di forma ellittica, esclusivamente dedicato alla cura per porre una speciale attenzione al paziente, è un edificio a se stante, di un piano, aperto al verde esterno e costruito attorno ad un verde interno, denominato lo spazio del sé, che attraversa il padiglione e si apre sul fronte e sopra il tetto, come riferimento ordinatore dello spazio e dei suoi valori simbolici; rivestito in legno, materiale naturale di cui non sono fatti gli ospedali, rivolto verso la città a cercare un dialogo e protetto alle sue spalle dall’area ospedaliera “istituzionale” da un edificio di forma tubolare, che costituisce una naturale quinta di separazione. La sua forma curva nega la rigida perpendicolarità dell’ospedale e circonda affettuosamente il malato. La scelta tipologica e l’organizzazione interna sono innovative a seguito di un esame accurato e razionale delle possibili tipologie realizzate per la dialisi sulla base dei parametri richiesti dalla normativa vigente e di esperienze mediche italiane ed estere;
– il secondo fabbricato, padiglione servizi e ambulatori, a due piani, è collegato al padiglione dialisi da tre volumi contenenti gli spogliatoi, ed ospita a terra i servizi al pubblico e alla dialisi e, al piano primo, ambulatori specialistici; originariamente era nato per contenere il reparto nefrologia con dieci posti letto di degenza.
Una ragione funzionale e psicologica distingue gli accessi ed i percorsi fra pazienti deambulanti, pazienti barellati e pazienti infetti in modo da garantire il massimo senso di privacy nel raggiungimento dei servizi. La scelta progettuale di svolgere la dialisi al piano terra corrisponde ad una precisa esigenza del malato sia di facilità di accesso, sia di capacità personale di accostarsi alla cura autonomamente.
L’ interno è concepito come uno spazio aperto che facilita la collaborazione tra gli operatori medici e crea per il malato un ampio respiro psicologico consentendo vari punti di vista.
I materiali utilizzati sono naturali e hanno tonalità chiare e calde: legno di cedro, rame trattato in tonalità verde, pietra chiara e vetro a consentire un’ampia penetrazione della luce ed un continuo affaccio sull’esterno.
Lo schema distributivo è semplice e consente una lettura immediata con facilità di orientamento. La struttura portante, realizzata tramite elementi solo perimetrali od esterni, permette flessibilità alla distribuzione interna.
All’interno della sala dialisi sono state studiate soluzione per il miglior conforto del paziente quali:
– la realizzazione di un testaletto artigianale concepito come un mobile che contenga gli impianti per la dialisi e non come uno strumento meccanico che sovrasti il paziente facendolo sentire ancor più dipendente;
– la possibilità per ogni singolo paziente di collegarsi ad internet oppure di seguire un programma televisivo o di ascoltare musica;
– i soffitti interni, fonoassorbenti, inclinati nella sala dialisi e curvilinei nel padiglione ambulatori, disegnati per condurre lo sguardo -e la mente- del paziente sdraiato verso l’esterno.
– un’illuminazione prevalentemente naturale e, quando artificiale, indiretta e con tonalità calde tramite corpi illuminanti d’arredo;
– un sistema di riscaldamento a pannelli radianti nel pavimento che garantisce comfort termico e risparmio energetico abbinato ad un sistema di trattamento aria innovativo con ionizzatori e filtri assoluti nei canali di ventilazione che impediscono la proliferazione dei batteri;
– l’uso del colore, accanto alla scelta dei materiali che segue sempre una intenzione consapevole; nel rapporto fra l’opera d’arte e l’ambiente che la circonda, come scrive Buren, “l’utilisation d’une belle gamme de couleurs peut donner a l’ensemble, au milieu de la verdure du patio et celle des jardins, une ambiance chaleureuse, douce, claire, vivante et gaie à la fois. L’impression d’une renaissance”. Negli altri ambienti, dove possibile, si è fatto riferimento ai concetti della cromoterapia e/o della teoria dei colori rafforzati da una specifica forma geometrica (verde dove si richiede equilibrio, indaco per rilassare, arancio per un’azione termica e stimolante).
Il padiglione contiene anche un nuovo reparto per la dialisi peritoneale di circa 60 mq., per l’addestramento del paziente alla dialisi domiciliare; in questo modo si è voluto incentivare, dove possibile, un approccio più graduale al trattamento dialitico offrendo al paziente la possibilità di maggiore autonomia.
L’ospedale non è solo un involucro funzionale ma una rappresentazione fisica di una civiltà, per questo il progetto del padiglione di dialisi nasce comprendendo la necessità di un intervento dell’arte al suo interno.
La storia stessa dell’ospedale era in passato legata alla cultura materiale della città e l’arte ne costituiva un elemento integrato ed integrante. L’ospedale del Ceppo è testimonianza di questo dalle origini: l’arte lo raccordava alla città esprimendone valori di amore e attenzione verso il luogo. Questo rapporto con l’ambiente si è perso nel tempo e con esso la mentalità che lo rendeva uno stile di vita sociale.
Nel progetto l’ arte è strumento di relazione fra i luoghi, ponte di cultura fra l’ospedale e la città.
Ma l’arte è anche occasione per ripensare il concetto di ospedale come luogo sostenibile per la salute, aperto all’ambiente naturale ed alla cultura esterna e non isolato in una stretta visione di ghetto funzionale, costruito con un nuovo ordine etico ed estetico e fondato sulla centralità del paziente: ospedale come luogo per vivere.
Nei padiglioni l’arte si è attuata come proposta organica e non come sovrapposizione al progetto, fino a configurarsi essa stessa come pratica umanizzante a confronto con i temi dell’ appartenenza e dell’ identità.
Un’arte utile che si è fatta carico delle limitazioni imposte dalla norma accettando la realizzazione dei temi funzionali che sono stati proposti, capace di riallacciarsi alla vita e al rapporto con il pubblico, superando l’attuale crisi di valori etici ed estetici causata dalla violenza mediatica e aprendosi una nuova strada di comunicazione sociale.
Arte come forma di ecologia sociale, strumento di educazione contro l’indifferenza, e di realizzazione di quella socio-diversità culturale necessaria al risveglio della coscienza attiva del mondo.
Su queste linee il progetto si è andato evolvendo come contenitore di una proposta organica dell’arte e sono stati individuati sette artisti disponibili ad affrontare il tema architettonico e condividerne i punti di vista e la filosofia. Artisti di fama internazionale che sono intervenuti sui temi fondanti dei nuovi edifici. I loro progetti riguardano: elementi esterni d’ingresso ai padiglioni, un affresco nella parete di attesa del padiglione dialisi, il disegno di una porzione di pavimenti, il progetto dei giardini, il disegno di elementi divisori d’arredo fra i letti dei dializzati, la progettazione di spazi esterni di raccordo tra l’ospedale e la città. I loro nomi sono: Daniel Buren, Dani Karavan, Sol Lewitt, Robert Morris, Hidetoshi Nagasawa, Claudio Parmiggiani e, come artista pistoiese, Gianni Ruffi.
Firenze 3 Marzo 2005
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