Nel Febbraio 1990 ci veniva commissionato il primo studio per la linea architettonica di una serie di negozi che la Mitsubishi Corporation – Divisione Tessile doveva realizzare per lo stilista di moda uomo Maurizio Bonas di Firenze.
Varie questioni si ponevano all’inizio di questo lavoro: la definizione del senso spaziale di una ricerca stilistica di moda: l’individuazione di una serie di oggetti significanti correlati ad uno specifico prodotto; la costruzione di un “linguaggio” che contenesse margini di aggiustabilità ai vari contesti, pur restando capace di veicolare un preciso messaggio.
Abbiamo cercato in primo luogo una proposta concettuale in grado di stabilire riferimenti accurati fra materiali, spazi e linguaggio stilistico.
Le nostre convinzioni ci portavano a scartare l’ipotesi della definizione di un linguaggio come sommatoria di elementi significanti ripetibili e legati da una sintassi stabile. Si faceva strada l’esigenza di creare uno spazio semantico complessivo, fondato su una narrazione concettuale di riferimenti costruiti sulla possibilità di sintassi variabili. Un sistema che producesse senso non sulla base dell’aggregazione prestabilita di parti e oggetti invarianti, ma come esplicazione del tema concettuale da cui poter dedurre associazioni, forme e risonanze emotive diverse e variabili a seconda delle infinite possibilità di rapporto tra determinati materiali e gli spazi/tempi che, volta per volta, si sarebbero posti. La creazione, cioè, di un sistema aperto, fondato su una linea narrativa prestabilita a cui legare, caso per caso, un sistema di significanti in evoluzione.
Alla base di ogni scelta è stata la convinzione di applicare un metodo in cui ogni passaggio progettuale risultasse, passo per passo, dimostrabile: in cui ogni parte fosse sempre legata al tutto in base a precisi rapporti e precise premesse.
La ricerca di una visione complessa, aperta a varie influenze, si svolge per strade che si intersecano imprevedibilmente ma che possono essere percorse con un atteggiamento ai margini del rigore. Si tratta di un metodo che ha al suo centro la tensione esistenziale derivata dall’esperienza della crudeltà delle cose e che procede per confronti parziali e sintesi transitorie, in una linea di sottile demarcazione dall’incertezza.
Le prime realizzazioni su questo tema esemplificano l’inizio della costruzione del nostro percorso.
Progettare uno spazio in Giappone significa cercare la possibilità di una relazione fra la nostra cultura e quella giapponese. Ma pone anche, in particolare, il problema del rapporto fra le nostre memorie, i nostri percorsi di ricerca ed una nuova scala internazionale di riferimento.
Un esercizio di ricomposizione di esperienze e di significati per identificare un nuovo sistema narrativo. Ma la realtà giapponese appare così affollata di esperienze, di storie compresenti ed intrecciate, di fluide razionalità, da impedire una spiegazione unica.
Suggerisce invece una riflessione sulla complessità e sulla necessità di identificare nuove soluzioni provvisorie al rapporto fra interpretazione del contesto e scelta dei valori.
Lo spazio denso di immagini della città giapponese la sua realtà magmatica, collage di continue e distanti sovrapposizioni, spezzano le nostre abitudini mentali.
Lo spazio da progettare accentua le sue valenze di “luogo mentale complesso” in cui identificare, come all’interno di un labirinto, il filo della propria narrazione, il percorso della propria tradizione.
Se la storia non è un percorso unitario ed in progresso, se emerge la chiarezza che non è possibile identificare mondi estetici in comune, cerchiamo di proporre una narrazione costruita sul rigore e sulla verificabilità, all’interno della quale ogni scelta sia funzione di un significato. Definire un atteggiamento di tensione soggettiva, avventura nell’incertezza, con l’attenzione diretta alle esigenze dell’essere.
La riflessione sulle condizioni della storia attuale diventa una chiave di svolgimento del progetto: interpretata con un’immagine che ne esprima la complessità, il labirinto diventa un possibile schema geometrico di riferimento.
Il labirinto è la compresenza e l’inconciliabilità di culture diverse all’interno di reticoli comuni; è la metafora della coscienza personale e collettiva; è il luogo della ricerca continua. “Recinto mentale” nel quale ricercare i fili della tradizione per svolgerli in nuove possibili direzioni.
Le prime riflessioni ci portavano a riconoscere la nostra necessità di definire in ogni caso uno spazio che creasse un “luogo dell’abitare”; di rispondere a queste “oscillazioni inarrestabili del senso” con una situazione statica e riflessiva:”llinazione è la condizione dell’attività interiore” come scrive Octavio Paz. Un luogo in grado di esprimere il senso della complessità ma anche di creare una pausa all’interno della quale avere la possibilità di ripensare i propri modi e tempi dell’esperienza.
Il problema successivo era quello del significato da imprimere ad un negozio inteso non solo come spazio commerciale ed espositivo ma come situazione di continuo confronto fra esperienze legate alla molteplicità ed alla mobilità del “fenomeno moda”. Confronto fra la linea di uno stilista, in continua ricerca di interpretare ì fenomeni attuali, ed un contesto, ambizione di esprimere valenze culturali e di contribuire alla costruzione di quella “memoria collettiva” che definisce gli spostamenti del gusto nella nostra epoca.
Un negozio pensato come una piccola galleria, un “museo del presente” proposta di confronto fra culture diverse.
Per questo lo spazio centrale del negozio veniva a raffigurarsi come una piccola biblioteca dove potersi sedere e consultare libri sulla moda e sulle matrici della nostra cultura.
“Museo del presente” significa anche creare un luogo dove potersi concentrare ed apprezzare le stoffe, i tagli dei tessuti, i materiali e lo spazio. Una situazione quasi di “spaesamento” nei confronti dell’esterno, spazio di riflessione e d’effetto.
Viale Augusto Righi, 67,
50137 Firenze FI
Tel/Fax _ 055 384 1158
Email_ giannivannetti@libero.it