L’edificio è collocato in una posizione d’angolo nella piazza, fra il loggiato dei Pellegrini e la Chiesa di S. Maria. I saggi sulle murature e sulle fondazioni misero in evidenza i motivi di questa curiosa collocazione: si trattava della sopraelevazione dell’ultima campata del porticato.
La facciata sulla piazza misura l’interasse del porticato e sul prospetto laterale, sotto l’intonaco, esistevano ancora i due archi di testa.
Da una ricerca storica presso l’Archivio Alinari veniva rintracciata una foto della piazza scattata attorno al 1890. L’ingrandimento di un particolare presentava l’edificio d’angolo con facciata decorata a graffito.
La scelta di un graffito con grottesche di tradizione cinquecentesca era da interpretare come un atto di maldestro eclettismo per connotare un oggetto di un’importanza fuori scala rispetto ai suoi caratteri architettonici e ambientali. La decorazione, inoltre, risultava racchiusa nell’effetto bidimensionale della facciata e presentava al piano terra delle pitture con effetto trompe l’oeil.
Nel corso della sopraelevazione ottocentesca erano stati aggiunti due muri portanti: uno in senso trasversale a chiusura dell’arco centrale e l’altro longitudinalmente per sostenere i nuovi carichi dei solai.
Le strutture e le finiture (del graffito non v’era più alcuna traccia) risultavano in un sostanziale stato di degrado. La configurazione spaziale interna era fortemente alterata.
Dato l’irrimediabile snaturamento della campata del porticato, la scelta progettuale si basava sull’idea di restituire all’edificio una giusta dignità di palazzina ottocentesca, ripristinandone all’interno le volumetrie ed adeguandola alle necessità funzionali della committenza. Privilegiare un’ottica ottocentesca non impediva però di mettere in evidenza i due archi di testa del porticato tramite fasce di intonaco che testimoniassero le stratificazioni avvenute.
Nella facciata sulla piazza, al piano terra, venivano ricreati e riproporzionati i tre ingressi originari per restituire un ordine di divisione geometrica.
La riproposizione del graffito era decisa per identificare il passato ottocentesco della palazzina, ma veniva intesa, priva degli elementi naturalistici, come pura scansione geometrica, conferendo rigore all’uso di questa tecnica. La colorazione tipica del graffito, dovuta all’ossido di manganese, veniva corretta in funzione della fascia cromatica prevalente nella piazza, in rapporto alla coloritura a calce del porticato della chiesa e in funzione dell’esposizione della luce naturale.
Il degrado delle strutture, la parziale assenza di fondazioni e le prescrizioni antisismiche portavano ad una base fondale a platea in cemento armato, al rifacimento dei solai con cordoli perimetrali ammorsati nelle murature tramite code di rondine, ad interventi di cuci-scuci nel tessuto murario misto.
Anche per l’arredamento interno si sono utilizzati materiali “ottocenteschi” in chiave attuale, senza rinunciare all’impiego di materiali che evidenziassero l’età del nuovo intervento.
I pavimenti al piano terra sono composti secondo un disegno geometrico di tasselli di cotto su quadrati di marmo Calacatta. Le scale e gli spazi di collegamento sono di marmo Calacatta mentre le pavimentazioni degli uffici ripropongono lo stesso disegno del piano terra invertendo i materiali.
I rivestimenti e le pareti attrezzate del salone sono in legno di noce e vetro opalino. Gli infissi interni ed esterni sono in noce naturale. Le porte, disegnate senza telaio, sono inserite nella muratura senza imbotte. Gli intonaci interni sono in grassello di calce con leggera patinatura; le tinteggiature esterne del graffito sono a calce data “a bonfresco”.
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