Significa porsi in rapporto col mondo cercando una nuova misura – necessariamente etica – a riferimento delle nostre azioni. Una misura costruita sul tema del sentire e sulla cultura della responsabilità, elemento unificante fra vita ed emozioni, disposizioni della ragione e scelte di comportamento.
L’umanizzazione tende alla realizzazione, nel senso più ampio possibile, della qualità della vita di un luogo.
Questa riflessione si muove su un binario alternativo, di tipo qualitativo, a volte persino immateriale ma profondo e non meno operativo per orientare una ricerca volta a comprendere il senso delle cose di cui siamo parte intimamente connessa.
Un obiettivo dalle declinazioni multidisciplinari (antropologiche, sociali, psicologiche, architettoniche…) per un confronto che sia presupposto contemporaneo di civiltà.
Lo spazio entro il quale tutto ciò accade è l’architettura e, alla scala più ampia, il tessuto urbano e la città.
Nei luoghi di cura l’umanizzazione si indirizza alla creazione di un ambiente idoneo ai bisogni di socializzazione, umanità, benessere, dove la persona è posta al centro. L’architettura, troppo spesso sottovalutata o ridotta a schemi funzionali, diviene attore del processo di promozione della salute a tutte le scale: dalla città sensibile alla creazione di ambienti che esprimano luoghi emotivamente positivi, fino al design di elementi ludici per l’ospedale dei bambini perché il gioco è terapia.
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